all is fair in love and war

20220310_213701

All is fair in love and war era il titolo di un cortometraggio di cinema muto dei primi del ‘900. 1908 per esser precisi. La frase di per sè sembra un invito all’apertura verso due argomenti totalmente opposti nell’ideale collettivo moderno e, mi lancio in questa contestualizzazione decontestualizzata (come mi piacciono le figure retoriche, non si capisce vero?), anche nei primi anni dello scorso Secolo. La traduzione letterale recita e trascrivo testuale “tutto è lecito in amore e in guerra”. Che poi si possa sostituire il termine -lecito- con concesso o giusto poco importa, perchè ciò che realmente dovrebbe lasciare spaesati pur trattando argomenti come amore e guerra che per quanto distanti ad alcuni, sono alla portata di tutti -tipo la famosa scena di John Travolta mentre aspetta Uma Thurman in Pulp Fiction (come mi piacciono le citazioni cinemaniache, non si vede manco un pò vero?)- è la scelta stessa di ciò che evoca la parola “concesso“. Senza dimenticare l’accompagnamento del “tutto“. Ci troviamo di fronte ad una frase entrata poi a far parte della cultura di massa, che ha lasciato e lascia adito alle più disparate teorie riguardo che cosa, a chi e perchè dovremmo concedere il nostro tutto, un pò anche quello degli altri a seconda della situazione a dire il vero, in due dei forse più complicati momenti di fronte ai quali ognuno potrebbe trovarsi lungo il filo della vita. Uno molto probabilmente lo si cercherà di evitare con tutte le speranze, l’altro lo si andrà a cercare anche nei vicoli più stretti e nascosti. A volte è disarmante, tanto per restare in tema, come due cose talmente opposte siano però legate tra di esse indissolubilmente da una medesima idea di fondo. Basti pensare ad esempio a quante guerre siano scoppiate a causa dell’amore, e perchè no, anche a quanti amori possano esser nati durante o dopo la fine di una guerra che al contrario non avrebbero mai avuto ragione di essere. Non è questo il luogo dove voglio trattare in profondità questi determinati episodi, mi servivano per arrivare qua. 114 anni fa, menti abbastanza illuminate e con propensione verso il futuro come registi e cinematografi, producevano un cortometraggio basandosi sulla concezione secondo la quale qualsiasi cosa che si facesse in amore così come in guerra, andava bene. Penso sia alla portata di tutti affermare che una idea simile fosse folle. E la sia tutt’ora. E allo stesso modo, pur non avendo indagato, immagino che gli autori abbiano voluto fortemente giocare sul dualismo creato da una titolo del genere. Eravamo ricordo ai naviganti, nel 1908. Ora vi spiego la trama del cortometraggio: tre amici entrano in competizione quando si mettono a corteggiare una bella ragazza. Ogni volta che uno di loro cerca in qualche modo di rendere omaggio alla giovane, gli altri due gli mettono i bastoni tra le ruote. Non vincerà nessuno dei tre perché alla fine interverrà un poliziotto che scapperà via con la ragazza. Mi state seguendo? Siamo ancora oggi fermi immobili a ideali di 114 anni fa. L’uomo che si evolve da milioni di anni e fa passi avanti nella scala evolutiva periodicamente, per quanto possa aver inventato tutto ciò di cui usufruiamo nella nostra quotidianità, in questo caso è rimasto bloccato a concetti di più di un secolo fa. Merito della lungimiranza dei produttori millenovecentotteschi del film, o demerito nostro e dell’incapacità di andar oltre certe convinzioni a questo punto universali? Ai posteri -perchè penso che anche il nostro slot evolutivo sia incapace di trovare una risposta purtroppo- l’ardua sentenza (come mi piace citare passi di immense opere letterarie non si vede manco un pò, vero?). Adesso mi sento del tutto leggero e posso iniziare liberamente a svolazzare qua e là nel campo di girasoli dell’argomento di cui voglio trattare.

Sono triste e contrariato. Mai avrei pensato su questo blog di parlare di una guerra nel mentre che la si stesse combattendo. Anche in questo momento, ogni lettera che batto sulla tastiera potrebbe corrispondere ad uno sparo o ad un urlo. E per quanto possa sembrare una frase filosofica e scontata, non diamole una connotazione sbagliata; mettiamocelo in testa, mentre siamo intenti a vivere la nostra quotidianità a non più di 3-4mila km persone come noi sono in guerra. Una guerra vera, non di realtà virtuale. E le persone coinvolte non fanno parte di nessun universo parallelo o di chissà che zona del Mondo a noi remota, come potrebbe sembrare una delle svariate guerre in Africa o Sud America -ma quelli son luoghi distanti, lasciamoli dove sono tanto non ci toccano- che sia. L’Ucraina invece è dietro l’angolo, l’Ucraina per qualche motivo ci tocca. Lì la guerra, a chi più o chi meno, ci unisce. Rendiamoci conto: sono due anni che ci scanniamo a volte con fermento misto a gioia, per una cosa della quale giuro che non parlerò mai in questa sede, e adesso come per magia ci uniamo tutti sotto il fuoco acceso dell’ingiustizia che l’invasione russa ha provocato in ognuno di noi. Ci sentiamo giustificati nell’esserlo, perchè esser contro una guerra è concesso. Sia chiaro, sono il primo ad esserne contrario e spero che tutto finisca più in fretta possibile, ma allo stesso tempo mi fa molto pensare che sia stato lo scoppio di una guerra a farci tornare a ragionare di insieme, guerrapiattisti esclusi. Fa avere quasi una percezione migliore di sè stessi. Tutto mentre davanti ci scorrono immagini di famiglie in fuga, mamme e bambini in condizioni complicate, città sventrate, vittime. Davvero ci voleva una guerra per farci sentire brave persone che son contro la guerra? Certe cose per me non devono esistere e certi concetti devono evolversi. Guerra o amore che sia, non è concepibile che tutto sia concesso, devono esserci delle regole. Da bambini, gli stessi che adesso vediamo e per i quali siamo dispiaciuti, possono non esserci regole e tutto può esser concesso. Quando giravamo in bicicletta sotto casa con nostra sorella, quando con i nostri genitori passandoci davanti cercavamo di indovinare i gradi dei termometri delle farmacie, quando stavamo in mezzo a mamma e papà sul divano con un dito in bocca da una parte e uno a girare i capelli magari strappadone anche dall’altra, quando invece che farci dormire da soli in cameretta ci facevano stare con loro toccandogli le orecchie rigorosamente fredde, perchè sennò calde non fungevano da ninna nanna. E perchè no, magari lo facciamo anche da grandi nel letto con il nostro partner che sbuffa o ci sfancula, ma alla fine trattandosi di amore ci concede questo vizio che ci portiamo fin da piccoli. Notare bene, anche in amore a mio avviso non è così giusto che tutto sia concesso e che non ci siano regolette e rispetto dell’altro. Ma fino a che si tratta di farsi accarezzare orecchie o guance per far sì che la fidanzata si addormenti meglio, non so perchè ma penso che tutti voi che state leggendo sarete d’accordo con me sul fatto che siano dei vaffanculo ma detti o pensati con il cuore pieno di amore. Perchè lasciarci fare degli slalom in corridoio appendendosi al muro tipo Matrix per scivolare meglio in curva, così da raggiungere in questo modo divertente il bagno quando eravamo delle bambine iperattive. E perchè non farlo tutt’ora quando sentiamo di essere in una giornata particolarmente atletica. Io abbracciavo chi dei miei genitori mi asciugava i capelli colpendoli sui fianchi come se tenessi un ritmo, tagliavo i capelli a mio nonno mentre dormiva. Avevo certo delle regole, ma mi veniva concesso quasi tutto perchè ero un bambino e ne avevo come tutti il bisogno. I bambini hanno bisogno che gli venga concesso quasi tutto, perchè non sono capaci di approfittarsene e laddove combinassero qualche stupidaggine, sarebbe sempre e comunque un qualcosa di ingenuo e in buona fede. I bambini non sanno far del male agli altri consapevolmente. Ecco che cosa dovrebbe accomunarci tutti e farci ragionare univocamente, ecco che cosa ci deve unire. La consapevolezza che ognuno di noi il tempo in cui tutto ci è stato concesso lo abbiamo avuto. Perchè poi ad esempio in un niente a volte si diventa genitori, e si inizia a concedere a nostra volta il nostro tutto alla nostra ragione di vita (si ho ripetuto tre volte lo stesso termine!) e non facciamo in tempo ad abituarci all’idea del senso di pienezza che una creatura tanto piccola sia in grado di darci, che già ci sentiamo svuotati quando per qualsiasi ragione dobbiamo distaccarci da essa. Il nostro tutto al quale concediamo tutto che diventa niente, pur restando tutto. Bel casino del cazzo l’amore puro verso qualcuno, quasi che era meglio una guerra in medio Oriente tanto son distanti -scherzo ovviamente-. Crescendo ci dobbiamo evolvere, imparando a fare a meno di qualcosa che da piccoli non potevamo e soprattutto che il Mondo in cui viviamo è fatto di regole in cui l’utopia di inizio ‘900 del tutto è concesso, amore o guerra che sia, in realtà altro non funge che da una mera illusione creata ad hoc e sulla quale basare il nostro processo evolutivo. La frase magari andrebbe riscritta:

“quasi tutto è concesso da bambini, qualcosa in amore e nulla, si spera, in guerra”

Ci fosse mai qualche dubbio, penso che i bambini ucraini -ma come loro tutti gli altri bambini coinvolti in qualsiasi conflitto che ci sia mai stato, allo stesso modo delle mamme, dei papà, delle donne, degli uomini e degli anziani- se potessero scegliere, sicuramente vorrebbero che gli fosse concesso tutto adesso, per poi poter sapere cosa concedere e cosa no un domani in amore, ed essere in grado di scegliere di non concedere nulla in nessuna guerra, perchè sarebbe un concetto del tutto superato e senza motivo di esistere.

Sembra quasi un discorso da film demenziale sui concorsi di bellezza, ma ahimè è la squallida realtà in cui ci troviamo. Mi sa che a qualcuno da piccolo e successivamente in amore in età adulta non è stato concesso nulla e si sta rifacendo con gli interessi scatenando guerre.

Mi han chiesto che cosa farei se rinascessi Putin o qualunque altro personaggio che nella storia è stato artefice di conflitti e morti evitabili, ho risposto solamente che saprei di dover nascere dal culo.

Grazie Elena, Marta, Giorgia, Martina, Giulia, Francesco e Matteo. Pochi, ma indispensabili alla stesura. A volte da un ricordo si sviluppa un argomento.

Continua a leggere

• che cosa •

images.jpeg

Forse una delle questioni più irrisolte della sfera affettiva delle persone, è quella del che cosa ne fa innamorare una di un’altra. Ribadisco.

Che cosa, non chi o perché, ma che cosa.

Ci si innamora di una persona. Ci si innamora perché ci piace questa persona. Ma se vi chiedessero che cosa vi ha fatti innamorare, sono sicuro che la celerità delle vostre risposte non sarebbe così scontata. È un po’ come quando nella scena più abusata e gettonata del cinema d’autore romantico, la donna chiede all’uomo un po’ distratto e distaccato di dirle 5 cose non convenzionali che gli piacciono di lei. Con susseguente scena muta tipo incubo di trovarsi per la seconda volta dopo 20 anni di fronte alla commissione d’esame di maturità. Penso che sia questo l’esempio più nitido di ciò che voglia dire “che cosa ci ha fatto innamorare”.

Innamorarsi non è idealizzare una persona, ma non saper resistere ad un arricciamento del naso quando qualcosa non le piace.

Innamorarsi non vuol dire guardare compiaciuti le foto della propria fidanzata pensando a quanto sia bella, formosa e fotogenica, ma avere fissa in testa la sua fase di arrossamento di fronte ad un complimento inaspettato o i suoi enormi occhi che vi guardano con fare guardingo.

Innamorarsi non implica il dire ti amo o chiamare ogni secondo la propria ragazza “amore”, ma saper esser complici e sentirsi completati dall’altro anche, e soprattutto, stando in silenzio. I cosiddetti silenzi pieni di parole e significati.

Innamorarsi non è paragonare una ragazza ad un’altra stilando una classifica di qualità e quantità, ma trovare nella persona che vogliamo a fianco anche solo una cosa che valga più delle centomila che hanno tutte le altre.

Innamorarsi non è sapere di avere una persona con cui voler andare a dormire il Sabato sera, ma una con cui svegliarsi il Lunedì, il Martedì, Mercoledì, Giovedì e Venerdì mattina.

Innamorarsi non è neanche trovare l’altra metà della mela a volte, perché come questa era già stata tagliata una volta, così potrebbe esserlo di nuovo sempre lungo la stessa linea di taglio. Ma molto più larga questa volta.

Innamorarsi non significa vivere morbosamente una persona e fare per questa qualsiasi cosa annullandosi, ma esserci anche in modo positivamente distaccato, stando al proprio posto per assurdo anche quando, e se, le cose dovessero non andare come si vorrebbe.

Innamorarsi vuol dire sapere di voler esserci sempre e comunque per una persona, a costo di stare più dietro le quinte che sul palco, ma con la consapevolezza di esser stato abbastanza per una persona, così che questa sappia sempre che tu ci sei. Che ci sei voluto essere e che per sempre ci sarai.

Anche senza parlarvi.

Anche senza vedervi.

Anche senza sentirvi.

Innamorarsi è prendere una matita in mano e venire totalmente sopraffatti dalla convinzione che in nessun caso saremmo potuti essere in grado di disegnare e creare da zero una persona tanto bella e perfetta ai nostri occhi, come in realtà è per noi la persona di cui siamo innamorati. Perciò innamoratevi senza timore di che cosa vi piace di una persona, non della persona e basta. Non innamoratevi mai del concetto di essere innamorati di una determinata persona. Quello non sarebbe amore, non sarebbe l’amore che meritate.

Continua a leggere

• SORprendimi •

20200223_002244

Sorprendere già di per sè evoca qualcosa di bello.
Perchè se una persona non ha una buona e precisa ragione per farlo, allora non sorprende per niente.
E la cosa più bella è che uno la ragione può averla solo per sè, non per forza per la persona che si vuole sorprendere.
Sarò più chiaro con un esempio alla portata di tutti:
se mi sveglio e voglio mandare 5000 rose rosse ad Emily Ratajkowski, nonostante ad Emily possano interessare tanto quanto le previsioni meteo di Finale Ligure del 29 Febbraio, la differenza il gesto la farà per me che ho avuto la voglia e la gioia di farlo.
Disinteressandomi totalmente delle aspettative che le rose potranno avere sul rapporto tra me e lei, non aspettandomi in risposta una dichiarazione di amore da parte sua o un futuro potenziale matrimonio (solo perchè è già sposata sia chiaro).
È questa per me la forza della sorpresa nei confronti di una persona.
Farlo senza non pretendere di avere, una sorta di “do ut non des“.

Mettiamo un attimo da parte Emily;

chi decide quindi chi debba essere per qualcuno una Emily piuttosto che un Brad?
Chi si sente di dare un metro di giudizio per giustificare la volontà di voler sorprendere qualcuno?
Soprattutto, chi si sente in grado di dire che voler sorprendere qualcuno sia sbagliato dal momento che non ci si aspetti nulla se non la felicità nel sapere di aver strappato un sorriso, o magari qualcosa di più, alla persona che la riceverà?
Spesso capita di sentire quelle frasi che mai si vorrebbero sentir pronunciare come “ormai è troppo tardi” o “se potessi tornare indietro“.
Io non voglio star qui a dispensare consigli assoluti stile Guru Pitka, tantomeno permettermi il lusso di scrivere “fatelo prima che sia troppo tardi perchè poi ve ne pentirete”.

Dico solo che se vi sentite di farlo, non dovete pensare a nulla se non alla felicità che proverete sapendo di aver sorpreso qualcuno.
E se questa persona non dovesse darvi la risposta che vorreste non vi preoccupate. Un sorriso glielo avrete comunque strappato.

Continua a leggere

• non è bello ciò che è bello, ma.. •

guantoni-da-boxe-in-stile-vintage_95211-330

Che cos’è una cosa bella.

Lo possiamo sapere solo noi che lo decidiamo. Perchè se una cosa è bella o brutta per noi, lo decidiamo davvero solo noi. La bellezza oggettiva delle cose svanisce, forse non è mai esistita neanche quella. Perchè in fondo, non è scontato che la Gioconda piaccia a tutti o che Sofia Loren sia per tutti la più grande attrice italiana di tutti i tempi. De gustibus si studia a scuola.

Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace

abbiamo imparato a dirlo da più grandi per tagliare più signorilmente qualcuna che nonostante tutti ritenessero carina, a noi non andava a genio (e viceversa ovviamente). La questione è quindi sul cosa decidiamo che ci piaccia, e cosa decidiamo che non ci piaccia. Con particolare occhio di riguardo sull’emisfero del bello. Perchè diciamolo, quando una cosa non ci piace non ci sentiamo troppo in dovere di darci e darne spiegazioni. Non ci piace, non influisce sulla nostra giornata, non ci fa star svegli di notte a pensare e non ci fa tribulare quando la vediamo passare per strada. Il problema è quello che ci piace. E lo è ancora di più se ci piace e non sappiamo se possiamo averlo o se la cosa sia reciproca. Non parlo di una Ferrari che vedo in concessionaria o di una mega villa a Miami Beach. Parlo di persone, di sensazioni ed emozioni. Qualcosa che si avvicina al sentimento. È pazzesco come a volte basti provare addosso una sensazione di piacere e benessere e da quel momento non riuscire a sperare in altro se non nel secondo, terzo, quarto round e così via. È davvero un incontro di boxe, dove tu sei lo sfidante per il titolo di campione della felicità. E come in ogni incontro per un titolo alla fine, come tutti sappiamo e come ogni competizione insegna, se ne può uscire in soli due modi. Ma non son qui per dire quanto sia bello vincere e quanto sia deprimente far da runner up. Voglio parlare del viaggio, del tempo che vivi prima di arrivare all’ultimo secondo dell’ultimo round, di tutto ciò che si prova mentre combatti. Puoi esser sfavorito dai pronostici ed esser dato per carne da macello, ma quando e se riesci a salire su quel ring, ogni secondo che passa sei allo stesso tempo un potenziale campione. Anche e solo perchè hai la possibilità di lottare. Certo è che vincere ogni tanto non sarebbe così male. Ma anche quando si perde, e quante volte abbiamo perso lo sappiamo solo noi, la cosa continuerà a piacerci. E continueremo a cercare un modo per ritentare la via del successo.

Perchè una cosa bella non te la levi dalla testa neanche se ti fa male.

Date alle persone la possibilità di poter combattere per un titolo, qualsiasi esso sia. Perchè se è vero che le cose belle son destinate a finire, almeno potranno avere il tempo di abituarsi alle botte. Soffriranno di meno e avranno sempre un motivo per non mollare e riprovare ancora.

E ancora, e ancora

Continua a leggere

temporali estivi

20190617_205716

Arrivano e colpiscono.
Temporali estivi, inaspettati e all’inizio del tutto non desiderati.
Chi mai spera in un temporale estivo, c’è tutto l’inverno per far piovere e chiudersi in casa, sotto le coperte davanti a Netflix con il camino acceso.
L’estate è fatta per stare in giro in maglietta, a conoscere persone in costume.
D’estate nessuno vuole un temporale.

Ma se arriva mentre tu sei in moto senza che te lo aspetti, l’acqua la prendi tutta.
Di cento volte che può esserti capitato, c’è quella volta che l’ora che ti travolgesse, sul serio non la vedevi.

E quindi si, tutta.
La prendi tutta.
Goccia dopo goccia, come fosse aria fresca dopo mesi di afa estiva.

La prendi tutta.
Felice di arrivare a casa bagnato manco ti fossi buttato in mare vestito.

E mentre ti fermi e ti asciughi la testa con l’asciugamano che avresti dovuto usare per sdraiarti a prendere il sole, ecco che pensi a quanto questo temporale sia stata la cosa più bella e allo stesso tempo più inaspettata che potesse capitarti.

E capisci che in fin dei conti un pò d’acqua non ha mai fatto male a nessuno.
E che anzi, quasi quasi questa sensazione la vorresti addosso anche con 40 gradi all’ombra.

Senza acqua e sotto il sole.

Ma pur sempre con un temporale dentro.

Continua a leggere

• se fossi in lei •

593abe5b-cdd0-4d81-9260-2b5891413865

Spesso ci si chiede quale sia la soluzione a qualsivoglia mistero, bugia, rompicapo o problema che fa da contorno alle nostre -lunghe- giornate.

Per non dire vite.

E non pensiamo mai che il vero mistero da risolvere, una delle più grandi sole con la quale ci siamo trovati almeno una volta ad aver a che fare, sia la frase che un giorno qualunque -in una situazione qualunque- viene formulata, prodotta e quindi esce dalle labbra di una ragazza:

“Se fossi in lei non farei assolutamente così con te”.

E poi..

Continua a leggere

mezzo pieno • mezzo pieno

post-1160x665

Mezzo pieno è comunque mezzo pieno.

Smettete di pesare le persone in base a come o a cosa sono secondo gli altri.
Smettete di prenderle a piccole dosi, perchè a qualcuno non piace quello che piace a voi.

Ricordatevi che un bicchiere di vino diluito in 1 litro d’acqua, dentro di voi rimane sempre e comunque un bicchiere di vino.

Continua a leggere

natale da film & natale da sogno

DSC_9196-2

È tutta colpa dei film.
Se sognamo un amore che inizi alle elementari e finisca mano nella mano a 90 anni durante una cena natalizia nella villa di famiglia, con i figli, i nipoti e magari i pronipoti. Tutti vestiti a festa, ognuno realizzato nel suo campo lavorativo e nella sua vita, con un albero addobbatissimo, un numero indefinito di pacchi da scartare, tavola imbandita, luci dentro e fuori casa, pupazzo di neve, strade innevate e alberi imbiancati.
Magari qualche ritardatario a causa delle ultime compre in giro per i negozi del centro, che suona proprio mentre tutti lo stavano redarguendo per far sempre le cose di fretta e furia.
Un figlio che è arrivato con l’aereo delle 7 e che ripartirà dopo una settimana di vacanza in famiglia, quello che invece sarà costretto a salire su un aereo già due giorni dopo.

È colpa dei film.

Se ovunque siamo, quando ascoltiamo una canzone natalizia delle più famose ed usurate playlist natalize, non riusciamo a far altro che associarla a scene viste e riviste di questi film, che magari conosciamo a memoria. E percepiamo quella sensazione che gli attori vivono durante il film. Gioia, fretta, amore, spirito natalizio, magia. È quasi come se noi stessi ricordassimo di aver recitato in quel film. Lo abbiamo vissuto guardandolo, lo viviamo ricordandolo ed associandolo ad una canzone, vorremmo viverlo nella nostra quotidianità.

È colpa dei film.

Se quando giriamo per le grandi città e vediamo quei negozi fiabeschi colmi di belle cose, vetrine da museo del Louvre, o quei centri commerciali in cui ci si perde, si pensa sempre che ogni persona che si incrocia sia lì per fare acquisti natalizi fantasmagorici, mentre invece tu sei lì giusto a fare un giro, per guardare le cose da film (perchè alcune davvero si vedono o comprano solo nei film) e sentirti appunto, parte di questo film che secondo te ognuno vorrebbe vivere.
Sognare non costa nulla è vero e spesso lo si fa ad occhi aperti e si può cadere nell’errore madornale di dire:

“perchè non posso essere così anche io?”.

Ed ecco che forse, in questi momenti, certi sogni portano ad apprezzare ancora di più quello che si ha.
Guardando il resto da spettatore non pagante, facendo fantasie che vengono sotterrate appena ci si ritrova in qualche situazione emozionale alla quale siamo abituati.
Al nostro film.
E nel nostro film non c’è sogno che possa distrarci o far disamorare della trama.

È colpa dei film se sognamo di esser gli attori.

Sta a noi scegliere di essere i registi.

Continua a leggere

• scelta a spinta •

discoteca-persone

C’è sempre qualcos’altro o qualcun’altro che ci spinge a fare le cose.
Non che sia sempre negativa la spinta che questi “terzi” ci danno, ma comunque di una forzatura alla nostra eventuale volontà si tratta.
A partire dallo andare all’asilo o a scuola.
Da piccoli siamo spinti a farlo -anche contro la nostra volontà- dai nostri genitori.
Facciamo i compiti per non farci mettere in castigo, per non disobbedire alla maestra o professoressa, per dimostrare di esser più bravi di altri compagni, per farci regalare un gioco o più soldi in paghetta e così via, sempre e comunque mossi da qualche terzo -o più- elemento esterno al quadro “io-scuola”.
Ma fino a che si tratta di istruzione, diciamo che è una forzatura indirizzata al nostro bene.

Poi ci sono situazioni più avanti nel tempo sulle quali possiamo esercitare il pieno, o quasi, potere decisionale.
Possiamo scegliere.

Ad esempio -e questo è il topic di questo mio articolo- possiamo scegliere o meno se uscire la sera e andare a ballare.
Siamo seri.
Cosa spinge una persona ad uscire 7 sere su 7, andare a ballare nelle solite 2 discoteche 3 o 4 sere a settimana, vedere sempre e solo le stesse persone che magari si son viste un’ora prima a bere, due a cena, sei in spiaggia o dodici a far colazione al bar prima di andare a lavorare.
Non credo che la forza trainante sia il piacere di andare a ballare.
Per quello esistono le scuole di ballo.
E non credo manco che ci si vada per bere qualcosa di sopraffino che in altri locali non si trovi.

Quindi facendo due calcoli, senza laurea o certificazioni, ho pensato che ciò che spinge la maggior parte delle persone a fare certe scelte riguardo le loro serate, potrebbe essere:
• Vado per vedere se c’è qualcuno o qualcuna da cui voglio farmi vedere.
• Vado per vedere qualcuno o qualcuna che voglio vedere
• Vado per vedere qualcuno o qualcuna che non mi vuol vedere in privato, ma lì è un luogo pubblico e quindi non può tagliarmi
• Vado per farmi vedere e basta
• Vado per vedere e basta
• Vado per cercare qualcuno o qualcuna da baccagliare
• Vado per cercare qualcuno o qualcuna che magari mi baccagli
• Vado perchè ho una punta
• Vado perchè me lo ha chiesto la mia ragazza o il mio ragazzo
• Vado perchè è la festa di Caio o la Laurea di Sempronio
• Vado perchè visto che va qualcuno o qualcuna che ha seguito allora se sono lì pure io magari mi accodo
• Vado perchè so che se vado di sicuro ci saranno parecchie persone alle quali non passerò indifferente e mi faccio un pò di self-marketing
• Vado per fare storie su Instagram
• Vado per fare foto da pubblicare su Instagram
• Vado per registrarmi su Facebook
• Vado per far vedere a qualcuno o qualcuna che mi faccio qualcuno o qualcuna che loro non si faranno mai
• Vado per far vedere che potrei farmi chiunque perché tutti mi muoiono dietro
• Vado per far vedere che mi faccio chi voglio
• Vado per far vedere che ho una fidanzata o un fidanzato
• Vado per mettere vestiti che al contrario non metterei mai, perchè lì vale tutto e siamo tutti super-emancipati
• Vado per far sì che qualcuno o qualcuna si accorga di me
• Vado perchè me lo hanno chiesto i miei amici e le mie amiche
• Vado perchè se non vado non mi sento parte del jet-set
• Vado perchè se non vado e ci va qualcun altro o qualcun’altra rischio di rimanere fuori dal giro e circolo vizioso e poi rientrarci è un casino
• Vado perchè è di moda andare
• Vado perchè se vado e faccio un tavolo con 3/4 bottiglie, chi mi vede si fa un’idea su di me positiva e pensa che sia un capo anche nella vita
• Vado perchè se non vado rischio di esser considerato da chi va un parìa
• Vado perchè sennò non so di cosa parlare il giorno dopo e almeno fino a quando non ci ri-andrò nuovamente. Cioè dopo 2 giorni.

Poi, forse, c’è chi va perchè si diverte davvero e non ha nulla che lo spinga ad andare in un posto che non sia il posto stesso.

E così come per la discoteca potrebbe essere per qualsiasi altra circostanza nella quale ci si trova con un perchè totalmente distante dalla circostanza stessa.
È tutta una questione di spinte esterne, manco fossimo a lezione di fisica quantistica al Liceo.

Grazie al cielo non siamo nè al Liceo e tantomeno mi sento vincolato da spinte.

Continua a leggere

tutto O niente

copo_meio_cheio_meio_vazio

 

 

Capita molto spesso a ragazzi o ragazze non per forza sinonimi di bellezza cristallin-pura e finita, di trovarsi di fronte a situazioni nelle quali si lanciano verso un’altra persona allo stesso modo di come farebbero con un paracadute malconcio da un aereo a 6000 metri di altitudine.
Gli epiloghi sono tra i più svariati immaginabili.
C’è chi piglia più granchi della Sirenetta, c’è chi si dispera perché il paracadute non gli si apre, chi vede sempre altri godere dei suoi sforzi, chi non si butta e rimane sull’aereo, chi vede gli altri realizzare i propri “sogni”, chi impreca inventandosi insulti degni di Walt Disney e, tra gli altri scenari, anche quel soggetto random più unico che raro al quale il paracadute si apre.

Ecco bene, quello non sono io.

Io, come penso parecchi altri, sono quel tipo di persona che scavallati i 30 anni si pensa voglia conoscere una ragazza da zero per diventare grandi amici.
Quel tipo di persona che di amiche ne ha tantissime da anni e anni e più che rodate e assodate come si suol dire, ma che secondo qualcuna non sono abbastanza.
Forse quel tipo di persona che deve essere talmente descritta come fuori dall’ordinario e di sani principi e valori, tra i quali il rispetto del prossimo con un occhio di riguardo verso il gentil sesso, cosa che non ci vuole Einstein per affermare che si sia perso del tutto in ogni luogo, modo e lago, da pretendere per forza che faccia parte del proprio cerchio dell’amicizia.
Un pò come dire:
sei perfetto, senza te è difficile stare perché mi dai quello che coloro ai quali la dò e appago sessualmente e con l’amore puro, non mi danno.
Detta male?
Da te voglio tutto tranne che il cazzo, quello me lo dà già il mio ragazzo.

E se niente niente uno dicesse di no per rispetto della propria intelligenza e amor proprio, si troverebbe davanti a scenate che quasi potrebbero sembrare peggio e più isteriche di quelle di una fidanzata.
Che sarebbe poi quello che voi avreste voluto e per cui vi trovate a fare certe discussioni.

Un delirio, si capisce solo dal quanto sia complicato spiegarlo.

Troppo facile per una ragazza o ragazzo che sia, vale per ambo i sessi sia chiaro, rifiutare qualcuno e poi avanzare pretese nei suoi confronti facendo leva sulla consapevolezza che questa persona abbia più che un debole.
Penso che nessun essere vivente alla veneranda età di 30 anni si svegli una mattina e decida di farsi avanti con una persona mai vista e mai conosciuta con l’intento di aggiungerla alla lista delle proprie amicizie invitandola ad uscire, a cena, cinema o dove cavolo sia.

Non penso che una ragazza che nel giro di un anno abbia avuto a che fare con più persone di me in tutta la vita quasi, abbia bisogno di avere per forza nel cerchio della fiducia alla Robert De Niro in “Ti presento i miei” uno dei pochi con cui non ha concluso nulla, perché magari la capisce meglio degli altri.
Se davvero così fosse, non ci sarebbe manco da parlare e non ci sarebbe altro all’infuori di loro due.
Se c’è dell’altro, allora è giusto che tra di loro non ci sia nulla. Di cosa parlerebbero, delle storie amorose, del perché abbiano litigato con il partner la sera prima? O magari guarderebbero assieme le foto dell’ultima vacanza tutta a cuori, o si darebbero la buonanotte da due letti diversi ma dei quali uno solo riempito da due persone? Un’amicizia basata sul finto interesse dell’altro, quando l’unico interesse sarebbe quello che non si potrebbe esaudire.

Nessuno è nato per essere ciò che vuole un altro.

Perciò cari miei e care mie, se non volete perdere queste persone che diventano imprescindibili per voi e la vostra vita solo dopo che le avete sfanculate e le avete portate all’esasperazione, pensate subito al perché si siano palesati nella vostra quotidianità dal nulla e non cascate dal pero dopo mesi con le classiche esternazioni tipo:
“ah ma io pensavo volessi esser mio/a amico/a”.
Amici di sto cazzo, ecco gli unici amici che potete essere.

E se dovete optare per scelte opposte a quelle che sono chiaramente le loro, prendetevi le vostre responsabilità e siate sempre e dico sempre, pronti a ricevere in risposta al vostro:
no
un:
va bene, allora ciao“.

Se uno vede in voi il suo tutto, non potrà mai esistere mezza misura.

O sarete tutto, o non sarete niente.

TUTTO o NIENTE.

Continua a leggere

aver NON-bisogno

gorilla-selfie

 

Quante volte durante le giornate diciamo o pensiamo la frase “ho bisogno di“.
Apriamo gli occhi e facciamo il planning di ciò che ci aspetta per le 14 in media ore conseguenti.
Quindi avremo bisogno di andar dal benzinaio per fare il pieno alla macchina, bisogno di prelevare, di chiamare quel cliente piuttosto che quel fornitore, di andare in lavanderia, chiamare la mamma, partner, amico..
Tutto ruota attorno al concetto di bisogno di qualcosa senza la quale crediamo di non essere in grado di ultimare o esaudire qualcos’altro.
Come se da soli non fossimo in grado di fare nulla.

Ora, capisco che non tutto sia fattibile da soli, non possiamo pensare ad esempio di prelevare dal bancomat senza il bisogno stesso del bancomat o di lavare la roba senza l’aiuto della lavatrice.
Non mi sono bevuto il cervello shakerato, sia chiaro.

Sto parlando di tutte le altre occasioni, concrete o mentali (per non dire astratte che non mi piace l’accezione che dà) nelle quali veniamo assaliti dal dubbio e dalla paura che quel che siamo e facciamo da soli non sia abbastanza.
In senso lato.

Abbastanza bello.
Abbastanza intelligente.
Abbastanza figo.
Abbastanza matto.
Abbastanza riconoscibile.
Abbastanza utile.

Abbastanza tutto.

E iniziamo (iniziate, iniziano, come meglio credete) a cercare consensi esterni proprio per il bisogno di raggiungere la consapevolezza personale che ciò che si fa o si è fatto, ottenga l’approvazione degli altri.

Ormai basta aprire un attimo gli occhi per rendersi conto di come la quasi totalità delle cose non si faccia più per la soddisfazione personale, ma per il bisogno di doverlo far vedere a qualcun’altro.

Volete farmi credere che quando si fa una foto con il culo di fuori in bella vista e si scrive in didascalia “sguardo al futuro e mai più indietro”, sia per la bellezza della frase, per la profondità del concetto, o per il bisogno di far vedere che si ha un culo (e non dico “bel” perché a volte sono cose inguardabili) e si ha ancor di più il bisogno che le persone guardandolo si facciano una qualche tipo di idea e degli apprezzamenti che senza quella foto non si sarebbero mai ricevuti ed ottenuti?
Mi volete convincere che pubblicare una foto in perizoma con scritto “ho la febbre” sia per il bisogno di tachipirina a domicilio?
O che farsi le foto in Ospedale al Pronto Soccorso, sia per il bisogno che qualcuno chiami il 118 al posto loro, in quanto impossibilitati perché impegnati a farsi un selfie nel profilo migliore che hanno?
O che farsi una foto allo specchio in bagno fasciati da un asciugamano che lascia ad intravedere qualcosa di voi sia per il bisogno di far vedere a tutti che vi siate lavati?
E che aprire un qualsiasi profilo Instagram e vedere 250 selfie sempre uguali con le stesse espressioni sia per il bisogno di avere consigli sul make-up o sul colore dei capelli??
O che per esporre un qualsiasi stato d’animo e scrivere una qualsiasi frase ci sia il bisogno di doversi fare una foto in solitudine, di schiena, in posa da modelle o modelli che guardano all’orizzonte, al cielo, in primo piano con il sorriso o con qualche pezzo di corpo denudato o con chissà che mezzo per far passar tutto in secondo piano e far focalizzare l’attenzione dello spettatore su ciò che in effetti si ha il bisogno di far vedere?

Potrei andare avanti milioni di anni.

Diciamocelo avanti,
ma che BISOGNO c’è di tutto questo cinema o di questo vivere per forza e sempre con il bisogno di approvazione e ricerca di metodi per avere tale approvazione esterna??

Vi assicuro, perchè lo sto provando ed anzi ormai l’ho bello che provato e testato sulla mia pelle, che non esiste nessuna sensazione e stato d’animo migliore di quando ci si sveglia la mattina senza sentire il bisogno di nessuno che non siate voi stessi e quello che siete senza che nessuno vi dica “bravi”.

Il vero bisogno, è l’aver non-bisogno.

Buona giornata.

Continua a leggere

social•mente inutili

new-instagram-logo-new-look-designboom-03

Viviamo a Finale, in provincia di Savona.
Se proprio ci vogliamo allargare diciamo che siamo in Liguria.
Un buco di culo sperduto nel Mondo, roba che qualcuno quando dici di dove sei cerca su Google porco il vostro.

E riusciamo a farla credere da matti a dei personaggi di paesi di 10mila cristiani manco fossero tutti Justin Bieber, Brad Pitt o Cristiano Ronaldo.
Per non parlare di nani da giardino che si credono tutte Emily Ratajkowski, Chiara Ferragni o Selena Gomez.
E per farla credere intendo proprio sentir frasi tipo “ah, mamma mia ma è lui, quello famoso”..
Famoso a Finale Ligure zio porcone infame maiale, a FINALE LIGURE ZIO CANE!
O magari sentir dire “eh ci sta che se la tiri e che non ti risponda o ti saluti, lei è la più figa di tutte” in una discoteca dove se le conti ci saranno 30 ragazze in tutto.
E comunque sempre in paesi di 10mila anime.

Frasi del tipo “il Re dei social” o “la Regina di Instagram” vanno bene per personaggi con milioni di seguaci e comunque per esseri umani che anche senza l’aiuto dei Social Network sarebbero conosciuti e famosi comunque, gente che non ha bisogno di comprarsi i seguaci per arrivare a 20mila.. 20mila 😂😂😂😂 e si sentono famosi. Roba che se uno davvero famoso pubblicasse una foto nera arriverebbe in 3 minuti a 200mila like. Roba per la quale questi geni del social-marketing devono fotografarsi nudi o in pose super-hot ad altissimo tasso erotico-sfigatico per festeggiare i 1000 like e stappare bottiglie comprate alla Conad, o per pubblicizzare un brand che manco se mi pagassero metterei mai addosso.

Ah, e se volete fanno anche “collaborazioni” per aiutarvi nello sviluppo e rafforzamento dell’immagine della vostra impresa o azienda.

Tipo la sagra del baccalà marinato.

È proprio vero che come si suol dire, “basta uscire dai garbassi” per accorgersi di cosa sia davvero la vita e di come funzionino relamente le cose.
E di che posto triste in cui siamo nati.
Meraviglioso ambiente, clima, vita.
Ma con della gente che se la infili in una realtà dove sarebbe una delle tante persone in una strada qualsiasi, ma battuta da 100mila altri esseri viventi, penso che non durerebbe 1 mese senza la sua fama da paese.

Continua a leggere

H•b•day al mio Blog

headerImage-anniversaryOne

Volevo oggi festeggiare con tutti coloro che leggono, hanno letto, leggeranno e anche con chi non legge (che sono la percentuale più alta in proporzione al numero di persone che potenzialmente potrebbero aprire almeno una volta nella loro vita la pagina web del mio blog) il primo anno di vita appunto del mio blog.

Non ho guadagnato mezzo centesimo, per assurdo ci ho rimesso per via dell’acquisto ed il rinnovo del dominio.
Ma non è un problema.
Come avevo detto e sottolineato, non mi lanciavo in questa avventura per una questione economica o per farci dei soldi.
Certo se fossero arrivati dei risultati non ci avrei sputato sopra, ma devo dire che per il primo anno gli insights (i dati relativi accessi, click, ecc) mi hanno più che soddisfatto.

Se non altro per la quantità di persone che fanno di esso un motivo di cui parlare in giro, piuttosto che in occasioni del tutto casuali, con me.
Per il numero di persone che ho conosciuto grazie ad esso, che potrà sembrare strano, ma sono state davvero parecchie e tutte molto gradite.
Per la posizione di blogger che involontariamente ho acquisito per qualcuno dei miei più fedeli, e che ringrazio immensamente, seguaci.
Mi sono trovato sul serio da un giorno all’altro ad esser considerato uno scrittore e pensatore, quando invece l’unica cosa di diverso che facevo rispetto al giorno precedente, era di scrivere le cose che pensavo su una pagina “.com” invece che sul mio profilo Facebook.
Ho capito soprattutto che niente come lo scrivere è legato indissolubilmente al proprio stato d’animo e alla condizione psico-fisica che si sta passando in un determinato momento della nostra vita.

Quando vediamo tutto perfetto e luminoso e la nostra vita ci sembra perfetta, scriviamo cose bellissime e profonde, tutte a cuori e indubbiamente piacevoli alla lettura.
E quando si sta male e ci si chiude in casa cercando di stare il più possibile lontano da circostanze sociali alienandosi dal Mondo, a differenza della situazione prima citata, non siamo assaliti da un blocco e dal rifiuto, ma anzi forse è proprio lì che escono fuori i testi ed i pensieri migliori, profondi, introspettivi e più gratificanti per noi stessi.
Perchè ci spogliamo di ogni difesa e ci autodefiniamo con le nostre stesse mani.
Ed è bellissimo se si capisce che non è una manifestazione di debolezza, quanto una forza immensa accompagnata da un coraggio ancora più grande.

Quello di scriverlo.

Mai come da un anno fa a questa parte, ho capito e provato sulla mia pelle come la scrittura sia il luogo perfetto in cui rifugiarsi e sfogarsi, tirando fuori tutto e senza far capire nulla.
Perchè nulla riesce a mimetizzare uno stato d’animo come una metafora o una qualsiasi figura retorica usata bene.

Spero di avere sempre questa voglia di affrontare il mio stare male se mi porta a scrivere come faccio di consueto, perchè la voglia di stare bene è fin troppo scontato anche solo dirlo.

Con questo ringrazio di nuovo tutti i miei lettori e auguro al mio piccolo diamante un pò meno grezzo, di crescere sempre meglio e arrivare dove il suo creatore, ideatore e foraggiatore, non pensa si possa neanche avvicinarsi con il binocolo.

Ma sognare non costa nulla, CIT.

AUGURI RAGAZZOSCONSIDERATO.COM

P.S. comunque un quasi 20mila click te li sei fatti in un anno.

Continua a leggere

batti le mani schiocca le dita fatevi furbi tutta la vita

hqdefault

La canzoncina fenomeno virale che gira ovunque “batti le mani schiocca le dita umore alto tutta la vita” nonostante provenga da uno dei programmi più demenziali del tubo catodico italiano, rappresenta perfettamente la vita di ognuno di noi:

una persona meno attraente e prestante fisicamente, che fa della cultura e dei modi la sua caratteristica determinante e cavallo di battaglia, dice chiaramente che ha dei limiti emozionali e affettivi all’interno di un contesto sociale dove si creano “vicinanze” tra bei ragazzi e belle ragazze.
Magari per via del fatto che dall’alto della sua intelligenza ha capito che là dentro viene apprezzato fino ad un certo punto, e che diciamolo schietti schietti, se c’è da chiavare non viene preso in considerazione come gli altri suoi coinquilini.
O magari solo perchè l’esperienza gli ha insegnato che prima di lui, una ragazza ne sceglierà e proverà almeno altri 1000 che in foto rimangono meglio.

Ed è qui che se ne esce il figo statuario, il bello e dannato che fa venire le ragazzine (e non solo) solo starnutendo, fisicato a bomba, conciato tipo surfista australiano capello lungo e sorriso assassino.. il classico che nella vita avrà sempre avuto tutto quello che manco avrebbe voluto, perchè gli sarà piovuto addosso.
Figa, situazioni, figa, eventi, figa, soldi, figa, fama e ancora figa.

E cosa gli dice da grande amico profondo e che capisce il momento??
“Ma nooooo, mai giù di umore. BATTI LE MANI, SCHIOCCA LE DITA, UMORE ALTO TUTTA LA VITA” 😱😱😱

Grazie a sto gran cazzo che hai l’umore alto da tutta la vita, lo avrei anche io l’umore alto tutta la vita fossi così come sei te gran cazzone avariato!

Provate a capire perchè vi si dicono certe frasi e certe cose a volte.
Nessuno si alza la mattina dicendo “anche oggi facciamo di tutto perchè sia una giornata di merda e perchè così ci sentiamo vittime della società”.

Magari è solo una realtà che voi non potete capire, perchè non l’avete mai provata.
Ma esistono anche persone che fan fatica, ve lo assicuro.

 

Continua a leggere

quando vuoi tu

up-balloons

 

 

Perchè dobbiamo aver timore di fare una domanda ad una persona con cui avremmo la seria intenzione di far qualcosa?
Quante volte veniamo assaliti dalle idee più strambe ed allo stesso tempo più incredibili che potessimo mai pensare di avere, ma che inesorabilmente restano tali e non vengono mai sintetizzate o pronunciate dalla nostra voce?

Secondo me non abbiamo paura della risposta, ma del cosa ne seguirebbe.
Esatto, abbiamo paura del dopo-risposta.

Sarò più chiaro.

Il Mondo di oggi è costituito per la maggiore da relazioni che si snodano sui social network, il che implica che non per forza il rapporto tra persone debba esser diretto o di contatto fisico o visivo.
Le persone hanno più a che fare tra di loro mediante uno schermo ed una connessione wifi o roaming dati che sia, piuttosto che seduti su una panchina o al tavolino di un bar mentre prendono il caffè.
Sono anche sicuro che se contassimo il tempo ed il numero di parole che ci diciamo durante una giornata con una persona, fidanzata, moglie o amica che sia, sarebbe sempre maggiore la quantità “virtuale” rispetto a quella “live”.
Bellissimo potrete dirmi, trionfo immenso della tecnologia ed intuizione funzionalissima per coloro i quali non avrebbero la possibilità di essere in contatto quotidianamente con qualcuno a cui vogliono bene.

Questo non lo metto in dubbio.

Ma così come si è rivoluzionato il modo di rapportarsi e tenersi sempre in contatto con qualcuno in senso positivo e costruttivo, pensate anche a come si sia ridotta a zero la velocità nel tagliare i ponti.

Fino a che si aveva a che fare con una persona all’interno di un contesto sociale in cui magari le abitudini erano simili, la si vedeva quasi ogni giorno, il tempo e le esperienze condivise, le parole dette, le emozioni provate avevano tutte la stessa natura “fisica” e diretta, era ovvio che non si fosse in grado (anche solo per una questione di sinergie che si erano create con il tempo) di dire da un secondo all’altro “basta” con conseguente blocco dai vari Social network e quindi la cancellazione quasi totale della nostra persona virtuale.

E allora, pur di non perdere questa nostra dimensione virtuale raggiunta con una determinata persona, preferiamo rimanere “i noi attraverso il telefono” e distanti fisicamente, piuttosto che chiedere di uscire a cena o di andare in vacanza assieme a qualcuna con il rischio di esser bloccati e non provare neanche più la misera seppur piacevole emozione del rapporto attraverso il Social.

Oggi purtroppo funziona proprio così, siamo ormai diventati due persone in una:
quella reale e quella Social.

Quella reale è quella che conoscono le persone che con noi passano del tempo.
Quella Social è quella che gli altri “usano” per dire di conoscerci guardando ciò che pubblichiamo giorno dopo giorno su Instagram o Facebook.
Quella reale è quella con cui parliamo e abbiamo un confronto.
Quella Social è quella che leggiamo negli stati o che vediamo nelle foto, limitandoci a questi elementi per giustificare il pensiero su di essa.
Quella reale è quella che arrossisce di fronte ad un complimento o che balbetta mentre ne articola uno.
Quella Social è quella che di complimenti ne scrive a nastro perchè tanto non percepisce imbarazzo attraverso un messaggio scritto su Whatsapp, e poi magari di persona manco ti guarda in faccia mentre ti parla.

Non voglio fare il detrattore dei social network sia chiaro, perchè sarei falso ed incoerente.

Dico solo che ho paura di perdere la bellezza immensa e la sensazione unica del dire ad una persona quanto sia bella guardandola negli occhi, invece che scriverglielo per messaggio e vedermi rispondere con la faccina a cuoricini (cosa che in ogni caso apprezzo tantissimo e ci mancherebbe altro).

Così come vorrei avere la libertà di scrivere ad una persona senza il terrore inconscio di venir cancellato dal suo database:
partiamo

E ricevere in risposta:

quando vuoi tu“.

Continua a leggere

Non tutto va come deve andare

C_pX3UWUAAA7Jhr

Pretendete tempi infiniti per fidarvi di qualcuno che conoscete da poco e con cui vi sembra strano che le cose possano andare così bene, e poi vi basta mezzo secondo di sguardo incrociato per tornare da un vostro ex qualsiasi o da una vostra vecchia fiamma con cui, appunto perchè di passato e finito si tratta, evidentemente non era andato tutto così bene.

Pensate di meno, vivete di più.

Semplicemente.

Continua a leggere

haters phenomenāli

original

Nonostante io sappia, sia convinto e consapevolissimo di essere un granello di polvere nell’universo di costellazioni, pianeti, vie lattee e buchi neri che formano l’Universo,

sono orgoglioso e fiero di annunciare che:
ANCHE IO HO FINALMENTE DEGLI HATERS !
😂😂😂😂😂😂😂🎉🎉🎉🎉🎉🎉🎉

Eggià, ci son persone che non ho mai visto o sentito parlare (potrebbero essere stranieri per quanto ne so), ma che conoscono per filo e per segno cosa scrivo e dove scrivo.
E mi criticano a bomba, prendono per il culo o fanno i maestri di letteratura e cabaret.

😍😍😍😍😍😍

Quanto è bello quando nessuno vi si incula per ciò che siete, ma solo per ciò che avete o fate finta di avere e vi sentite comunque in diritto acquisito per titolo ereditario scaricato da Instagram di scagliare giudizi e sentenze su chiunque.
Io vi amo lo sapete?

Vi amo perchè grazie a voi so che non potrò essere mai e poi mai il più minchia che donna sia stata in grado di partorire.

Così come amo chi vi viene dietro a ruota, manco foste William Wallace in Braveheart che lotta e muore per la propria libertà e per il suo popolo.

Voi al massimo lottate per campare qualche troia da scopare e per cui sentirvi Gianluca Vacchi o qualche minchia da spennare vivo e fare la Ivanka Trump della situa, a seconda del vostro genere di nascita.
Peccato che la vostra fama finisca appena scollinate o uscite dal comune in cui siete residenti.

Ricordate, di Conor McGregorFloyd Mayweather o Meek Mill ce ne sono giusto una decina al Mondo.

Ah, scrivo e dico queste cose perchè sfido chiunque a dire che io me la sia mai tirata o abbia mai detto qualcosa di esaltante la mia persona o il fatto che mi diverta a scrivere e tenere un blog.

Se vi piace quel che scrivo o dico, bene. Sennò dormo lo stesso.
Non sono di sicuro il nuovo Guido Catalano, magari mamma mia 😂

P.S.
Una cosa come William Wallace potreste farla comunque..
MORIRE.

Buona giornata.

Leggete bene soprattutto voi 😘

Continua a leggere

esserCI o non esserCI, questo è il dilemma

tobeornot

Essere o non essere?

Shakespeare lo sapeva già, infatti è Shakespeare non Nicola Covella.

Mi trovo fuori dal reparto di medicina d’urgenza dell’Ospedale di Santa Corona.
Nulla di grave per me.
Ha avuto un brutto incidente un mio parente stretto, precisamente è stato sbalzato giù dalla sua moto mentre andava a lavorare da un capriolo, che in quel momento ha pensato bene nella sua ingenuità e nella sua tranquilla passeggiata mattutina di travolgere moto e conducente facendolo andare a sfracellare contro un albero.

È fuori pericolo, ma irriconoscibile. Tanto per capire, mia mamma non l’ha riconosciuto appena sceso dall’ambulanza talmente il viso fosse tumefatto, però non rischia nulla a quanto dicono i medici.
Dovrà aver pazienza, tanta pazienza, per rivedere la sua immagine chiara e più che conosciuta allo specchio.
Ma nella gravità della situazione, conoscendo la strada, i guard-rail a tratti inesistenti, strapiombi cosmici e via dicendo, direi che poteva andare molto peggio.

Ma non son qui per parlare di questo.
Come di consueto, quando mi trovo costretto ad esser protagonista o comunque facente parte di un set di qualche scena di vita, inizio a pensare.
E se penso ho un’ispirazione, bella o brutta che sia a seconda dell’associazione a cui la lego.
Soprattutto avvinghiata al momento di vita che sto vivendo in prima persona e quindi come attore protagonista.

E se ho un’ispirazione, scrivo.

Oggi mi si è aperto un Mondo riguardo al concetto di “esserci quando non serve“.

Voi mi direte che una situazione simile poteva farmi pensare ad ogni cosa possibile, a tutto, tranne che al fatto che non servisse esserci.
È vero, verissimo.
Il fatto è che oggi “esserci” è talmente ovvio secondo me e secondo il mio modo di comportarmi, che manco dovrei dire una cosa simile tanto è scontata per me.

E quindi nella mia volontà innata di rompere i coglioni alle cose scontate e ai pensieri ed atteggiamenti ovvi ed inutili, son qua che penso allo scenario esatto e contrario.

Perchè amiche e amici miei, esserci quando serve, a meno che non siamo persone senza un minimo di cuore o pervasi dall’indifferenza verso il prossimo, è una delle cose più facili e forse ipocrite che esistano.
E sia chiaro, la colpa non è di chi ci domanda direttamente o indirettamente aiuto quando ha bisogno.
La colpa è nostra che pensiamo di meritare il premio Nobel dell’amicizia perchè magari un nostro amico è stato lasciato e noi gli diamo conforto dicendo che ne scoperà 10mila.
La colpa è nostra che pensiamo di essere i tassisti più generosi del Mondo perchè portiamo qualcuno in macchina dove vuole o dove necessita e non gli chiediamo la benzina.
La colpa è nostra che vogliamo la targhetta de “il figlio dell’anno” perchè portiamo lo sciroppo a nostra mamma quando è nel letto con la febbre.
O pretendiamo di esser ringraziati a vita se prestiamo dei soldi a qualcuno perchè ci dice che è in merda e non riesce a pagare l’affitto.

E così via mille altre situazioni che dovrebbero essere così ovvie che quasi non le si dovrebbero considerare se non come qualcosa che va fatto e basta.

Avete mai dato una pacca sulla spalla a qualcuno che vedevate più strano rispetto a come eravate abituati?
Siete mai andati a chiedere a qualcuno se avesse avuto bisogno prima che ve lo domandasse?
Avete mai pensato che un vostro amico avesse bisogno di voi prima che si lasciasse con la fidanzata o che vi rivelasse una qualsiasi difficoltà?

Ci siete mai stati per le persone prima che ne avessero bisogno?

Non voglio fare il maestro di vita e dispensare lezioni o consigli, perchè si sa:
chi dà consigli è il primo a non accettarli“.

Son qua perchè rifletto di fronte ad una situazione particolare e nella quale non potevo fare altro che ESSERCI.

E penso che preferirei un milione di volte che le persone ci fossero quando non mi serve e non ne ho bisogno, piuttosto che da sdraiato nel letto di un ospedale o in un momento rovinosamente negativo della mia vita e soprattutto dopo averglielo chiesto direttamente.

È normale in queste circostanze che chi mi vuole bene davvero sarà al mio fianco, così come lo sarei io.
Senza riserve.

“E alle volte per essere buoni non basta neanche essere forti, come noi che per essere buoni dobbiamo essere morti“.


La differenza la fa tutto il resto.

Buona giornata a tutti.

Continua a leggere

ritrovarSI • lasciarSI

Screenshot_20171020-133814

lasciarSI • ritrovarSI

Scrivo dalla sala imbarco dell’aereo che mi dovrà portare indietro, mi auguro, da Londra.
Nonostante la mia vacanza non sia durata così a lungo da farmi venire la nostalgia di casa, qualche motivo per tornare sento di averlo.
Vado ad elecarveli:
1. A breve avrò a tutti gli effetti un “godson” ed il senso di eccitazione e di responsabilità, uniti allo stupore e all’emozione provati quando mi è stata data questa notizia, è talmente unico che sarei tornato a nuoto se fosse stato necessario per tenere Lorenzo in braccio il giorno del suo Battesimo.
2. Ho un gruppo di fratelli e compagni di squadra con i quali condivido la passione più grande mai sintetizzata in laboratorio, addirittura più grande di quella che ho per le scarpe e cappellini, da raggiungere e con i quali farmi il culo in settimana ed esultare la Domenica.
3. Ho la mia “5” che mi aspetta spero nel parcheggio di casa, a cui far rombare un pò il motore.
4. Ho i miei pochi e veri amici dei quali non potrei fare a meno e con i quali abbiamo da pianificare giusto due o tre avvenimenti di “poco conto” futuri.
5. Ho un lavoro che mi fa sentire parte integrante di un grande quanto decerebrato staff e senza il quale mi annoierei peggio che all’ora di educazione stradale alle elementari.
6. Ho una famiglia di persone a cui voglio bene.

Ho sonno mi sto addormentando giuro.

•inizio off topic onirico•
Ho una ragazza fantastica che è tutto quel che ho sempre desiderato e per la quale ho sempre lottato anche contro me stesso.
L’unica che poteva farmi ricredere sulla convinzione che la mia vita fosse uno schifo e che mi facessi solo del nervoso per delle persone che in effetti non volevano nulla da uno come me.
Avessi saputo dall’inizio che per trovare una come lei avrei dovuto sopportare tutto il nervoso e dispiacere di cui sopra, vi assicuro che me ne sarei fatto più del doppio”.
•fine off topic onirico•

Stavo sognando scusate, eccomi di nuovo sono sveglio. Come vedete la storia della ragazza non è numerata e non fa parte dell’elenco di situazioni reali purtroppo.

A parte il sogno, tutto il resto mi ha fatto capire quanto sia determinante per noi sapere cosa ritroveremo separandoci da un qualcosa che dà carattere alla nostra vita e senso alle nostre giornate.

ritrovarSI è bellissimo.

Ma come in ogni cosa, sarebbe troppo scontato se per ogni ritrovamento non ci fosse un lasciarsi alle spalle qualcos’altro.
Anzi, sarebbe quasi una vita perfetta e studiata in laboratorio.
Ritroveremmo e basta senza aver perso nulla, un meccanismo di arricchimento emozionale continuo.

Invece la vita che è tutto tranne che scontata e altalenante emozionalmente, ci costringe sempre a lasciar qualcosa lungo la strada.

Lascio un’esperienza bellissima, vissuta quasi in solitudine e per le vie di una città che non ricordavo assolutamente fosse così bella l’ultima volta che andai nel 2010.
Lascio un amico che però ho ritrovato, con cui per problemi inutili ci eravamo un pò allontanati (e non kilometricamente visto che vive proprio a Londra) ma affettivamente.
Io gli ho sempre voluto bene comunque e secondo me fino a che le cose belle passate assieme supereranno le cazzate, tutto si potrà risolvere sempre per il meglio.
Infine cosa più importante, lascio un fratello.
Lascio un fratello che non ho mai lasciato realmente, a cui voglio bene più della mia vita, che è stato tutto ciò che di meglio non avrei potuto manco immaginare e che continua ad esserlo anche a distanza e anche con i suoi tempi di risposta infiniti e i suoi modi totalmente opposti ai miei.

Mi è bastato vederlo felice.

P.S.
Lascio anche alle spalle il primo viaggio fatto da tutti i 4 componenti della mia famiglia. Ci voleva che uno dei due figli se ne andasse all’estero per farli muovere.
Ma ho ritrovato, anzi TROVATO, il piacere di viaggiare in famiglia.

Ci sentiamo se atterro ragazze e ragazzi.
Ciao sogno.

Continua a leggere

stare bene

CoWu6PCWcAAigXp

Ragazze e ragazzi, avevo promesso di non rompervi i cog****i almeno in vacanza, ma purtroppo anche dal Regno Unito sono stato assalito e stuprato da un’ispirazione.
Che nulla, tra l’altro, ha a che vedere o deve al Regno Unito in sè.
Avrei preferito disquisire della naturalezza con cui le coppie omosessuali girano mano nella mano e si scambiano sguardi baci e carezze in ogni angolo e strada della città, senza che nessuno storca il naso tipo bigotte anni ’60 in Chiesa la Domenica.
Sarebbe stato ancora più appagante spender parole costruttive ed edificantissimissime su tutti gli svariati, a volte impensabili, episodi d’amore che si vedono e ci si gusta nei momenti di stallo che si hanno durante le giornate frenetiche, all’insegna della corsa per la metro di qua, piuttosto che per l’attraversamento pedonale di là, il quale con il timer giallo che veloce scorre dal 12 allo 0, ti proietta constantemente in una realtà tipo film di James Bond, dove se non corri rischi di esser schiacciato dalla fila interminabile di mezzi di trasporto in attesa del semaforo verde.
Il set è quello, siamo a Londra; cambiano solo gli attori.
Per non cadere nello scontato e dire che potrei parlarvi della bellezza della City e diventare, scrivendo un off-topic, il tripblogger che non sono.

No.

Non sono qui per parlarvi di nessuno (e maledetto cazzo porco purtroppo) degli argomenti sopracitati.

Son qui perchè oggi mi è capitato di leggere questa frase, che era al maschile ma ho modificato:
il fatto è che tu mi hai travolto all’improvviso, senza che io potessi fermarti. Ti sei infilata nella mia testa come se ci fosse la porta aperta, come se qualcuno ti avesse detto di entrare. Il fatto è che però nessuno ti aveva invitata, ma tu lo sapevi che dovevi arrivare. E in fondo lo sapevo anch’io“.

E ho immediatamente pensato, assorbito dalla bellezza delle luci di questa città avvolta nella sua esclusiva ed umidissima notte che altro non può fare se non alimentare il mio animo romantico, che questa è la classica frase che vorrei ripetere a memoria alla persona capace di farmi sentire bene.
Quella grazie alla quale sarei in grado di scrivere un articolo al giorno (per la vostra gioia o meno).
Quella che dove mi giro mi giro, nonostante le 200mila pseudo-modelle che calcano le vie della City, vedo lei e solo lei e nient’altro che lei ovunque.
Quella che è quella giusta.

Ecco, io vorrei fare una domanda molto semplice a qualcuno che si senta di rispondermi e prendersi carico di un povero idiota come me:
Perchè?

Perchè complicità e rispetto non possono coesistere nella stessa frase?
Perchè felicità e tranquillità non posson convivere nello stesso momento in cui si parla di entrambe?
Perchè se un’ora prima ti senti Usain Bolt, quella dopo devi per forza per qualche legge della compensazione di sta gran funcia, mutare il tuo stato d’animo in quello di un bradipo distrofico?
Perchè non esiste mai un equilibrio tra le parti emozionali che si vivono nei periodi di legame tra il “ciao mi chiamo” ed il “vienimi a prendere alle 8 a casa”?
Perchè lo stare bene è una condizione più labile che stabile?
E, come ultima cosa poi vi lascio:
perchè stare bene è una cosa che per esser raggiunta deve farci stare così male?

Io sapevo che la legge del contrappasso di Dante fosse un enorme quanto innovativo valore letterario da lui concepito, ma limitato all’inferno e contestualizzato al 1200, 1300 o 1400 che fosse ora non mi ricordo e non ho testa di googlarlo.

Mi sa che devo ricredermi.

Ho capito e provato in prima persona che stare bene è una condizione talmente effimera che come tutte le cose effimere, è orgasmica.
Una vita per raggiungerlo, un attimo per assaporarlo, e poi si è di nuovo punto a capo e alla sua ricerca.

Per stare bene bisogna stare il triplo male.

Nonostante mi senta pronto a farmi ancora almeno più del triplo del triplo del nervoso fatto fino ad ora, proprio perchè mi voglio così bene, non sono uno che molla a meno che non mi sparino al cuore (e forse potrei sopravvivere e continuare a far quello che credo sia giusto per me) e son sicuro di quel che sto facendo aspetto fiducioso qualche anima pia che mi aiuti.

Buona giornata, io provo a non pensarci.

Continua a leggere

fida(nza)rsi è bene, fidarsi è meglio

tyter

Di frasi dette o sentite dirsi, che accomunano la maggior parte degli esseri umani, penso ce ne siano alcune più famose delle canzoni di Beyoncé.
Ma quella che chiunque di noi, ormai ex piccoli bambini ingenui che dovevano esser formati e scalpellati dal martello dei genitori o dei nonni che fossero in modo da diventare ai loro occhi e per il loro orgoglio la miglior statua che mai avessero potuto scolpire, ha sentito pronunciata con la voce di mamma o papà almeno una volta, secondo me rimarrà sempre:
“non accettare le caramelle da uno sconosciuto”.

E sia che le accettassimo disobbediendo e dando via al turbinio di trasgressioni che avrebbero poi dato un’identità alla nostra adolescenza, sia che rifiutassimo anche il minimo saluto da parte di qualcuno che non faceva parte della nostra sfera affettiva seguendo quindi i consigli di chi identificavamo come coloro in grado di dare un nome ad ogni nostra paura ed una risposta ad ogni nostra domanda infantile e adolescenziale poi, ognuno di noi è cresciuto con il “?” stampato sulle facce delle persone che non conoscevamo.
Guardinghi.
Con le mani sempre avanti.
A volte con il timore infondato verso il prossimo.
E la paura di ciò che per noi era sconosciuto, persone o cose che fossero.

Scavallato questo periodo di transizione in cui dalla sicurezza genitoriale si passava quindi al gasatissimo raggiungimento di un’indipendenza affettiva, ognuno si sentiva in grado di poter valutare da solo chi far entrare a far parte della propria vita e a chi dare così confidenza e fiducia.
È il classico periodo in cui si formavano le amicizie e le fratellanze non di sangue.
Spesso e volentieri andando contro il giudizio dei genitori.
Grazie a questi legami ci sentivamo pronti ad andare in guerra contro tutto e tutti.
L’amicizia ci dava quel senso di onnipotenza e di non necessità di nient’altro che quella.
Pensavamo che il superamento di un problema dipendesse solo da un amico.
I problemi non erano problemi se avevamo un amico o un’amica a fianco.
Pensavamo che non ci servisse altro che questo.

Ma eravamo adolescenti, non avevamo esperienza di vita, eravamo solo delle 500 con il motore di una Ferrari e con mezza tacca di benzina.
Tutta l’energia che ci sentivamo addosso, amici o meno a fianco, non sapevamo ancora come usarla al meglio.
Ci sentivamo in possesso di ogni strumento, ma non disponevamo dei mezzi adatti.

E proprio questo bisogno di acquisire consapevolezza nei nostri mezzi in modo da convogliare le energie nel giusto canale ci ha portati allo step successivo.

Quello dove più o meno mi trovo adesso e dovrebbero trovarsi i 20-30enni come me.

La rivalutazione dei propri bisogni, i primi piani un pò più a lungo termine.
Quelle scelte che con un amico si fanno, ma non per forza si fanno assieme.
Siamo consapevoli e certi che un vero amico sarà sempre al nostro fianco e ci sosterrà nelle nostre scelte, o magari ci farà ragionare se prendessimo decisioni avventate e insensate.
Ma non sarà più con noi come da bambini in bicicletta per il paese tutto il giorno tutti i giorni, sempre assieme in simbiosi.
Arriva quel momento in cui le strade personali si dividono e vanno verso la formazione del singolo individuo all’interno di una socialità già salda, ma comunque in continuo sviluppo ed espansione.
Individuo che sarà influenzato e veicolato dal suo passato condiviso e vissuto sempre con qualcuno a fargli da appoggio, nonostante si trovi adesso su una strada da percorrere da solo.
È quel momento in cui abbiamo bisogno di conoscere il Mondo, di andare oltre la piazzetta che è stata la nostra comfort zone per anni e in cui ci sentivamo più al sicuro che in un bunker anti-atomico.
Un momento in cui sentiamo la necessità di conoscere persone nuove, una ragazza, un datore di lavoro, un socio in affari.
La strada verso la vera indipendenza personale ed affettiva di ogni persona.

E qui dobbiamo rifare i conti con il terrore inconscio e mai rimosso del “nuovo” e ovviamente con la paura nei confronti dello sconosciuto.

Perchè per quante esperienze possiamo aver avuto, per quanti problemi possiamo aver affrontato nella nostra vita da piazzetta, adesso siamo da soli.
Potremmo chiedere tutti i consigli di questo Mondo a chi fa parte del nostro cerchio della fiducia, ai nostri genitori, ai nostri amici, ma saranno comunque scelte che dovremmo prendere in autonomia.
Adesso dobbiamo mettere in pratica tutto ciò che abbiamo imparato guardando e vivendo le persone di cui ormai ci fidiamo ciecamente da anni.

Così come abbiamo imparato a muoverci per i vicoli di un paesino, interpretando gli stimoli che le persone ci mandavano e grazie ai quali abbiamo imparato a discriminare tra chi “ispira fiducia” e chi “non ispira fiducia”, così dovremo fare per le strade a 5 corsie delle metropoli in cui ci troviamo ora.

La nostra comfort zone sapremo sempre dove trovarla, da lì se tutto va come deve non si schioderà mai.

Sta solo a noi farla conoscere a qualcuno che ne valga la pena e che voglia lui per primo o lei per prima entrare a farne parte.

Magari sarà una persona che darà la svolta al raggiungimento della nostra indipendenza.
Magari ci potremo fidare di questa persona nonostante l’abbiamo conosciuta da grande e non da pischelli in fermento e in cerca spasmodica di alleati con cui andare a suonare dei campanelli.
Magari sarà questa stessa persona a fare di tutto per far si che ci possiamo fidare di lei come ci siamo sempre fidati dei nostri amici di infanzia.
Magari questa persona sarà più di un’amica, e sarà tutt’altro che amica. Ma ci fideremo di lei se ce lo permetterà e farà capire.

Sta a noi capirlo.

Sta a noi iniziare a pensare di accettare una caramella da uno sconosciuto con tutte le carte in regola per cambiare la sua condizione nei nostri confronti.

È un Mondo fatto per aver a che fare con chi davvero vuole aver a che fare con noi.
Un Mondo talmente pieno di persone sconosciute e che tali rimarranno, che quando una persona davvero mostra un interesse mai visto o provato prima nel conoscerne un’altra bisognerebbe prendersi il rischio e disobbedire a ciò che ci dicevano mamma e papà quando eravamo bambini.

Un Mondo fatto per combattere per qualcuno che non conosciamo ancora ma che vogliamo a tutti i costi.

Un Mondo fatto per non stare da soli.

Vuoi continuare a proteggerti dagli altri o vuoi iniziare a farti proteggere da qualcuno?

Salti tu salto io, giusto?

Continua a leggere

Ti voglio, ma come vuoi tu

Screenshot_20171017-141040

Spesso sappiamo che dovremmo ammazzarla di insulti, riprenderla e farle notare che le cose non vanno sempre come vorremmo e come dovrebbero.
Dovremmo dirle che a volte ci facciamo del nervoso senza un senso.
O meglio, un senso e forse più di uno lo ha e noi per primi sappiamo benissimo di che senso si tratti.
Dovremmo incazzarci più spesso e sbottare, lanciare il telefono e mandarla a quel paese magari, invece che non rispondere e far passare il momento.
Vorremmo che non sparisse per delle giornate intere.
Vorremmo che ogni tanto fosse lei a chiederci di fare qualcosa, se non altro per la soddisfazione di dirle di no.
Anche se un “no” detto da noi lo sentirà davvero poco, più o meno come noi sentiamo dire “si” da lei.

La odiamo quando ci dà degli esagerati, perchè se siamo esagerati la colpa è solo sua o di chi l’ha fatta come è.

E perchè magari di esagerata c’è solo lei nell’accezione più positiva del termine.

La cancelleremmo dal telefono quando ci dice che siamo scontati, perchè di scontato c’è solo quanto sia unica e quanto ci siamo rincoglioniti per questo motivo.
Vorremmo che non ci fosse nessuno al Mondo che la veda come la vediamo noi, che pensi di lei quel che pensiamo noi e che voglia da lei quel che vogliamo noi.
Vorremmo quasi che non fosse così bella come è realmente, che non avesse quei due occhioni grossi come palle da bowling e che per questo motivo fanno sempre strike, o quel sorriso bianco come neve che quando mette in mostra, appunto, fa ghiacciare il sangue nelle vene.
Vorremmo vederla e sentirla sempre felice e contenta, con pochi dubbi e piena di certezze, fiduciosa nel prossimo, senza blocchi nel chiedere aiuto, conforto, o anche solo di andarla prendere a casa una sera.
Vorremmo che una volta si vedesse con i nostri occhi e si giudicasse con la nostra testa.
Vorremmo che ci credesse quando le diciamo che ci imbamboliamo e diventiamo degli ebeti in sua presenza, reale o virtuale che sia.

Vorremmo averla conosciuta molto molto prima.

Vorremmo e dovremmo.

Ma non vogliamo e non dobbiamo.

Non vogliamo, perchè se siamo così con lei è solo ed esclusivamente per come lei è con noi.
Non vogliamo, perchè quando conosciamo una persona prima di tutto dobbiamo pensare al suo passato che non conosciamo, esser consapevoli che sarà stata di sicuro plasmata dagli eventi che ha vissuto prima di noi e quindi vivere con la certezza che siamo solo un’aggiunta più o meno importante al suo libro già pieno di capitoli.
Una pagina da inserire in uno dei tanti, o se siamo fortunati e lo meritiamo, la prima pagina di un nuovo capitolo, ma senza la pretesa assoluta di essere il primo e tantomeno l’ultimo.
Non vogliamo, perchè ci piace così e nessuno ci tiene il fucile puntato o ci costringe a fare quello che facciamo.
Non vogliamo, perchè noi per primi sappiamo di non volerlo.

E non dobbiamo soprattutto.

Non dobbiamo perchè il bello di una persona è esser ciò che è senza adattarsi a chi ha di fronte cambiando i suoi modi di fare.

“Abbracciala e stalla a sentire, anche se ripete cento volte la stessa paura.
Abbi pazienza e abbi amore.
È tutto lì”.

Spesso e volentieri in situazioni simili mi piace dire che “se ci si deve prendere e addirittura innamorare di qualcuno lo si deve fare per ciò che questa persona è, e non per ciò che noi vorremmo che fosse”.

Sennò ci innamoreremmo solo di noi stessi, forse neanche di quelli.

Perchè di perfetto c’è poco e niente al Mondo.

E anche se già ci sentiamo rimbombare in testa la frase “ma tu non mi conosci”, siamo delle teste di cazzo e glielo diciamo lo stesso senza problemi, come ogni altra cosa che le abbiamo detto e che continueremo a dirle in futuro:

“forse qualcosa di molto vicino al perfetto l’ho trovato.
Altrimenti avrei voluto tutto il resto”.

Continua a leggere

Perdersi

FB_IMG_1507557306023

Ci si perde.

In un bicchier d’acqua.
Per strada.
In città.
In macchina.
A piedi.

E negli occhi.

Perdere non è mai bello è vero, lo insegnano fin da piccoli nonostante si cerchi di mascherare il tutto con la frase-minchiata:
“l’importante è partecipare”.

Ma quando mai?
Perdere fa schifo, punto.

Però se proprio dovessi scegliere di perdere, se fossi costretto a dovermi rassegnare a perdere in vita mia, allora lo vorrei fare dentro due occhi.
Perchè mi è successo, ed è stato unico.

Quasi ipnotico.

Perdersi negli occhi è incredibile, perchè non per forza devono appartenere a qualcuno che conosciamo.
Non per forza quei due occhi devono avere una voce a noi famigliare.
Quei due occhi non per forza devono guardarci.
Basta un solo incrocio, quel mezzo secondo di sguardo fisso, ed uno ci si perde dentro.
Partono una serie di impulsi e sinapsi che cari, costosi e luminari neuropsichiatri levatevi proprio.

Basta.
Sei perso là dentro e non ne esci manco se ti lanciano una corda o se mandano una squadra di recupero.

Perso.

E non ti interessa se magari questi occhi non hanno il fisico di Belen Rodriguez.
Poco importa se li devi guardare dall’alto al basso perchè sono alti 1 metro e 60.
Non è un problema se a volte ti guardano con aria permalosa e acida.
Puoi sopravvivere nonostante si prendano periodi sabbatici, Domeniche di riposo e sparizioni inaspettate e lunghe giorni.
Non ti riesci a ritrovare e, forse, ti ci perdi ancora di più quando tergiversano o ti accorgi che sono occhi che guardano anche altrove.

E poi vai oltre.

Perchè quando ormai ti sei perso in qualcosa di così illegalmente bello, decidi, soprattutto percepisci e addirittura ti arrendi alla idilliaca idea che perdersi sia stata l’unica cosa giusta che avresti potuto mai fare.
E che quindi perdere non è poi così brutto come ti hanno sempre fatto pensare.

Quindi, perso in un Mondo dal quale non vorresti mai uscire, scendi di poco.
Giusto 5 centimetri.

E trovi davanti a te un sorriso da copertina.
Non da copertina marroncina che hai sul letto, ma da copertina di qualche rivista di moda.
E anche se sotto quel sorriso indosserebbe jeans e Stan Smith o una semplice tuta da casa, un viso del genere sarebbe in grado di rendere invisibile ogni altra cosa esistente, outfit non da rivista di moda compresi.
Ma a me di quello che pensa la moda non me ne frega niente.

Lei è perfetta perchè è semplice, acqua e sapone e senza bisogno di tacchi o vestitini per attirare l’attenzione.
Le basta il sorriso.
È perfetto, bianco come il latte, smagliante nonostante la metà delle volte sia coperto dalla linguaccia che tira fuori quando le scattano delle foto.
O quando se le autoscatta, soprattutto.
È un sorriso che unito a quei due occhioni potresti riconoscere in mezzo a 10mila persone.
Non è così scontato abbinare occhioni e sorrisoni, e quando capita le cose sono due.

O hai di fronte qualcosa che ti ha fulminato o sei fulminato.
Non posso dire con certezza cosa sia, la cosa sicura è che di colpo di fulmine si tratti.

Rimani quindi basito e rincoglionito se la hai davanti, un ebete di fronte alle sue foto.
Come un bambino davanti all’ingresso di DisneyWorld.
Come un 25enne che realizza il suo sogno americano all’uscita della fermata della metro a New York, che rimane 10 minuti con la testa all’insù ad ammirare ciò che aspettava da una vita, in silenzio e con un tornado di emozioni dentro.
Forse questa è la metafora più adatta a spiegare cosa ti sia successo la prima sera che hai incrociato il suo sguardo e sei rimasto due ore a fissarlo, facendoti sgamare come un idiota senza che ti importasse.

Se anche avessi avuto dei dubbi sugli occhi, ora ne sei sicuro.
Sei perso del tutto.

Quindi ti fai avanti, dopo un pò e cercando un qualche pretesto.
E inizi ad averci a che fare.
E scopri che quei due occhi senza una voce e quel sorriso di cui non conoscevi il motivo, hanno ben più di un perchè.

Sono di una ragazza che è tutto quello che hai sempre sperato di trovare proprio mentre ne conoscevi una.

Una ragazza con voce bassa sensualissima che ascolteresti ore.
Una che dice sempre di no ai tuoi complimenti, ma senza dirti che arrossisce.
Una che non dice mai grazie, ma sempre che esageri, perchè altrimenti andrebbe contro la sua vocazione del non dimostrare nulla a nessuno.
Una ragazza autoritaria, ma sempre alla ricerca della certezza che una sua qualità sia reale e che tu te ne sia reso conto.
E anche se così non fosse te ne renderesti conto dal numero di volte che ti tira la frecciatina per sentirsi dire quello che vuole o quello che ancora non le stai dicendo.

Una principessa con i pantaloncini da calciatore.
Tutto quello che hai sempre sognato di trovare.

E che adesso speri di poter continuare a far ridere e stupire nei modi meno scontati e noiosi che conosci o che, ancora meglio, non conosci e scoprirai con il tempo.
In particolare grazie a quello che lei riuscirà a tirar fuori da te.
O a farti tirar fuori.

Gioco a calcio, e perdere è un verbo che chiunque pratichi sport vorrebbe cancellare dal proprio dizionario.

Ma vi posso assicurare che per la prima volta ho perso davvero volentieri e con il sorriso.

Ora però è arrivato il momento di vincere.

Continua a leggere

Non è mai troppo tardi.

DSC_3140

Non è mai troppo tardi per niente.
Specie per qualcosa per cui si è lottato, qualcosa per cui si sono spese energie che nessuno mai potrà immaginarsi, primi tra tutti quelli che non hanno fatto altro che esserti detrattori incalliti a prescindere, magari perché secondo la loro esperienza e il loro giudizio assoluto, tu non saresti stato in grado e basta.
Come fanno le persone che ti guardano da fuori senza mai chiedersi il perché tu faccia così tanto per qualcosa che sembra talmente irrealizzabile da farti passare per folle, a dirti che sbagli.
Nessuno può sapere cosa ti spinga ad andare ad allenarti sotto l’acqua con quattro gradi a Gennaio sapendo che tanto per ogni cosa tu possa fare, la Domenica sarai a guardare i tuoi compagni in tribuna, magari pure lì sotto l’acqua e con quattro gradi di temperatura.
Ma tu c’eri.
Nessuno può immaginare la soddisfazione provata dopo un allenamento in cui hai tirato fuori qualche coniglio dal cilindro, magari compiendo dei miracoli in una, secondo loro, inutile partitella del Venerdì che per te è tutto, nonostante tu sappia già che per quanto osannato e supportato dai tuoi compagni, che nel corso degli anni hanno capito quanto tu tenga a questo sogno e che per questo consideri dei fratelli e non dei semplici compagni di squadra, Domenica li sosterrai e osannerai a tua volta si, ma comunque in tribuna.
Nessuno ha idea di cosa significhi vivere uno spogliatoio come quelli che ho vissuto io.
Magari sarò stato fortunato, ma dove sono andato era sempre una grande famiglia e non una squadra di calcio, e inizio a credere che il calcio sia più una questione di sinergia tra singoli piuttosto che uno sport in cui vince chi è più forte tecnicamente:
se uno ha un certo tipo di propensione nei confronti dell’amicizia prima che del semplice “esser nella stessa squadra”, questa propensione si espande a macchia d’olio e coinvolge tutti sotto la stessa stella fino ad arrivare al punto in cui ogni singolo componente del gruppo la pensa come l’altro e così via, lottando assieme dentro e fuori dal campo, andando oltre gli obiettivi personali e mettendo davanti a tutto e tutti l’integrità del gruppo prima che la propria. Perché quando il gruppo è sano e coeso, le vittorie arrivano di conseguenza.
Nessuno di quelli che leggono solo il giornale al Lunedì e vedono che nelle formazioni non ci sei mai può anche solo figurarsi l’importanza che abbia per quella vittoria, pareggio o anche sconfitta, tutto il lavoro di ogni singola persona durante la settimana.
Perché il calcio non sono i 90 minuti della Domenica cari miei, il calcio sono i 4 allenamenti a settimana da 2 ore, sono i viaggi in macchina per andare e tornare dal campo, sono le battute mentre ci si cambia, sono i torelli prima di iniziare allenamento, sono le bestemmie quando uno gira la manopola dell’acqua sotto la doccia e ti fa bruciare vivo, sono le scarpe che non si trovano, la roba bagnata, sono le cene e le serate tra compagni, sono i tifosi che vengono a sostenerti pure in settimana al campo mentre ti alleni con ogni condizione meteo pensabile su superfici o dure come l’adamantio o molli peggio che sabbie mobili, sono i discorsi del Mister al Martedì dopo la partita della Domenica che si sia vinto o perso, sono i pranzi domenicali e i pre-partita cabalistici assieme a tutte le tradizioni da rispettare, sono i messaggi sui gruppi di Whatsapp, sono le esultanze ed i festeggiamenti in spogliatoio dopo una vittoria e sono le domeniche sera passate in silenzio ragionando sui 4 fischioni presi qualche ora prima.

Il calcio per me è questo.

Ed è per questo che da 5 anni a questa parte non ho mai mollato e ho continuato ad inseguire il sogno che a tanti ha regalato grasse risate, motivi di presa per il culo, scherno o dimostrazioni di scoraggiamento continue, a volte anche solo sostenendo che io non potessi far parte di una realtà tale solo perché non giocassi alla Domenica.
Ma forse queste persone non hanno mai avuto la consapevolezza che io dalla mia avessi molti più motivi per andare avanti piuttosto che fermarmi dando ragione a loro e alle loro considerazioni da scouter/allenatori/presidenti/commentatori tecnici.

E questi motivi di sicuro non erano legati al fatto di dover dar loro dimostrazione che fossi in grado di arrivare a qualcosa in cui nessuno avesse mai creduto.
Di loro me ne sono sempre fregato e gli ho dato meno considerazione di quella che dò agli ambulanti che vendono le rose in piazza o in passeggiata, tanto per capirci.

Io non dovevo mollare per rispetto delle persone che in me credevano anche solo dandomi la possibilità e l’onore di vestire una felpa d’allenamento, per gratitudine e riconoscenza nei confronti di chi avesse avuto il coraggio di farmi firmare un cartellino facendomi diventare così parte di una rosa di giocatori tesserati.

E soprattutto, non ho mai mollato per rispetto nei confronti dei miei compagni di squadra.
Perché per quanto si possa esser d’accordo o meno, fidatevi che vedere uno come me, un secondo o terzo portiere con 7 panchine ufficiali in 5 anni, andare a tremila sempre e comunque (ovvio, anche io con giorni in cui piuttosto che allenarmi sarei andato a picchiare il ferro in miniera), senza prendere una lira di rimborso che al giorno d’oggi sembra esser l’unico modo per far uscire fuori il 100per100 ad alcuni SuperGiocatori troppo forti per stare in certe categorie e che si permettono di non allenarsi o giocare se gli slitta di una settimana l’ultimo di 10 assegni da 1500euro ma questo è un altro discorso, serve ad ognuno degli altri 23 o 24 giocatori della rosa come stimolo a dare sempre il massimo.

Non ho mai mollato nonostante il destino mi abbia messo di fronte a pugili con dei diretti più forti di Tyson, facendomi sfiorare per ben 3 volte l’esordio poi sfumato per motivi che avrebbero portato chiunque nella mia situazione e con il mio background a dire:
“ma vaffanculo voi, il calcio, l’esordio e il sogno che sia. Smetto, mollo”.

Invece no, testa di cazzo che sono stato e grazie al cielo a questo punto, ho imprecato, tirato palloni fuori dal campo, spaccato porte e lanciato borse giù nelle fasce di casa mia.
Ma il Martedì ero comunque sempre lì, seduto al mio posto in fondo a destra e pronto a far sempre meglio andando oltre i miei, fin troppo evidenti, limiti.
E forse proprio questi cartoni nel muso mi hanno dato la voglia e la forza di far sempre di più e, parole di allenatori e compagni di squadra, a migliorare per dimostrare anche a me stesso che potevo fare sempre meglio di ieri ma peggio di domani.

Evidentemente non ho sbagliato ad andare contro la maggior parte di chi mi voleva seduto a casa a vedere Sky in settimana la sera o a lavorare dai miei la Domenica a pranzo.

Perché ce l’ho fatta.

Tutti gli sforzi si sono tradotti in una inaspettata quanto grande, sempre parole di compagni e allenatori, prestazione Domenica scorsa.

Mezz’oretta di emozioni e adrenalina a mille.
Adrenalina che mi ha fatto tirare una stampellata al primo rinvio dal fondo con palla in fallo laterale, ma che poi mi ha fatto fare un secondo rinvio in cui l’ho tirata oltre la trequarti loro dritta per dritta, palla colpita come mai fino ad allora.
Adrenalina che mista alla concentrazione assoluta mi ha fatto fare una parata in contro-tempo su un tiro con deviazione decisiva di un mio difensore e che ha fatto alzare tutta la panchina e tribuna, ad applaudire il mio gesto.
La miglior, e per ora unica, parata ufficiale della mia carriera.
Ma secondo me in quel momento stavano applaudendo più l’uomo che il portiere, perché loro erano davvero tutti quelli che condividevano e da sempre avevano capito il perché del mio voler realizzare quel determinato sogno.

Chiunque lo meritava, quel giorno era lì.
Presente fisicamente o comunque dentro di me per gli ultimi 10 minuti in cui, scesa l’adrenalina, ho potuto pensare a tutti gli anni precedenti, alle persone, ai momenti difficili e a quelli bellissimi vissuti assieme a loro.
E non mi vergogno a dire che ho pianto e che tutt’ora se ci penso mi vengono i brividi.

Se avessi saputo che alla fine avrei provato emozioni simili, grande prestazione o meno, mi sarei fatto di sicuro molti meno problemi o pensieri nel corso degli anni.

Lo ha detto anche un certo Michael Jordan e ci sarà un motivo:
“non ridete di me, non ridete. Perché i limiti, come le paure, sono spesso soltanto illusioni”.

 

Esordio a 29 anni e 11 mesi in Eccellenza, porta inviolata per mezz’ora.
Non sarà tantissimo, ma mi sono divertito.

Non è mai troppo tardi davvero.

Continua a leggere